280. Il grado di superiorità
o d'inferiorità degli Spiriti indica naturalmente il tono che conviene
tenere con loro. È evidente che più essi sono elevati, più hanno diritto
al nostro rispetto, ai nostri riguardi e alla nostra sottomissione. Non
dobbiamo testimoniare loro meno deferenza di quanta ne avremmo loro
dimostrata da vivi, sia pure per altri motivi: sulla Terra noi avremmo
considerato il loro rango e la loro posizione sociale; nel mondo degli
Spiriti, il nostro rispetto si rivolge solo alla superiorità morale. La
loro stessa elevazione li pone al disopra delle puerilità delle nostre
forme adulatorie. Non è con le parole che ci si può accattivare la loro
benevolenza, bensì con la sincerità dei sentimenti. Sarebbe perciò
ridicolo dar loro i titoli che le nostre usanze consacrano alla
distinzione dei ranghi, e che, da vivi, avrebbero potuto lusingare la
loro vanità. Se essi sono realmente superiori, non solo non ci tengono,
ma di ciò si dispiacciono. Un pensiero buono è loro più gradito degli
appellativi più elogiativi; se fosse altrimenti, essi non sarebbero al
disopra dell'Umanità. Lo Spirito d'un venerabile ecclesiastico, che fu
sulla Terra un principe della Chiesa, uomo dabbene che praticava la
legge di Gesù, rispose un giorno a qualcuno che lo evocava dandogli il
titolo di Monsignore: «Tu dovresti dire almeno ex-Monsignore, perché qui
non c'è altro Signore all'infuori di Dio. Sappi che io vedo certuni che
sulla Terra si genuflettevano ai miei piedi, e davanti ai quali
m'inchino io stesso».
Quanto agli Spiriti inferiori, il loro
carattere ci indica il linguaggio che conviene tenere con loro. Nel
numero ce ne sono di quelli che, benché inoffensivi e perfino benevoli,
sono leggeri, ignoranti, sconsiderati. Trattarli però alla stregua degli
Spiriti seri, così come fanno certe persone, allora tanto varrebbe
inchinarsi davanti a uno scolaro o davanti a un asino a cui fosse stato
messo in testa un berretto da dottore. Un tono di familiarità non
dovrebbe essere inopportuno con loro, che per questo non si
formalizzano; al contrario, vi si prestano volentieri.
Fra
gli Spiriti inferiori ve ne sono di quelli che sono infelici. Quali che
siano gli errori che stanno espiando, le loro sofferenze costituiscono
titoli tanto maggiori per la nostra commiserazione, in quanto è certo
che nessuno può illudersi di sfuggire a queste parole del Cristo: «Colui
che è senza peccato scagli la prima pietra». È per loro un sollievo la
benevolenza che noi dimostriamo loro. In mancanza di simpatia, essi
devono trovare in noi quell'indulgenza che desidereremmo si avesse verso
di noi.
Gli Spiriti che rivelano la loro inferiorità, con il
cinismo del loro linguaggio, con le menzogne, con la bassezza dei loro
sentimenti, con la perfidia dei loro consigli, sono sicuramente meno
degni del nostro interesse di quelli le cui parole attestano il
pentimento. Noi dobbiamo loro almeno la pietà che accordiamo ai più
grandi criminali; e il mezzo per ridurli al silenzio è quello di
mostrarsi superiori a loro. Essi si lasciano andare solo con le persone
dalle quali credono di non aver nulla da temere, perché gli Spiriti
perversi avvertono la superiorità degli uomini dabbene come pure gli
Spiriti elevati.
Riassumendo, quanto sarebbe da parte nostra
irriverente trattare da pari a pari con gli Spiriti superiori, tanto
sarebbe ridicolo avere una medesima referenza per tutti senza eccezione.
Facciamo dunque in modo di avere della venerazione per quanti la
meritano, della riconoscenza per quanti ci proteggono e ci assistono,
per tutti gli altri una benevolenza di cui un giorno forse potremmo aver
bisogno noi stessi. Penetrando nel mondo incorporeo, impariamo a
conoscerlo, e questa conoscenza ci deve guidare nei nostri rapporti con
quelli che lo abitano. Gli Antichi, nella loro ignoranza, innalzarono
loro degli altari; per noi, non sono che delle creature più o meno
perfette, e gli altari, noi, non li innalziamo che a Dio.